giovedì 6 agosto 2009

Paolo VI: tutela della fede e difesa della vita umana

Ricorre oggi il 31° anniversario della santa morte di Paolo VI. Mi sono già occupato di lui recentemente (24 giugno 2009: Elogio di Paolo VI), per cui non ho molto da aggiungere, se non che per me, ogni giorno che passa, la sua figura diventa piú grande. Qualcuno — uno dei tanti giornalisti che pensano di rendersi interessanti inventando o ripetendo banalità — ha arricchito la lunga lista di luoghi comuni su Paolo VI denominandolo il “Papa dimenticato”. Non si direbbe: mi sembra che si parli sempre di piú di lui, certo spesso per criticarlo, ma ancora piú spesso per rivalutarne l’insegnamento, che a distanza di anni appare davvero profetico. Rientra in questa rivalutazione l’ultima enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate, che riprende, continua e approfondisce l’insegnamento della Populorum progressio.

Nei giorni scorsi Raffella ha ripubblicato due discorsi di Papa Montini al Concistoro, quello del 24 maggio 1976 e quello del 27 giugno 1977. Il primo di tali discorsi è stato successivamente ripreso da Rinascimento sacro, destando le ire di alcuni lettori, che continuano a perpetuare uno dei tanti stereotipi su Paolo VI: il Papa progressista che ha distrutto la Chiesa. Per me, come ho già detto, egli è, al contrario, il Papa che ha salvato la Chiesa. E lo ha fatto senza alcuna esitazione, checché ne dicano quanti lo accusano di essere stato timido, dubbioso, amletico. Paolo VI, pur nell'innata modestia, nella signorilità del tratto e nel rispetto delle persone, fu sempre pienamente consapevole della missione che Dio gli aveva affidato e la compí senza reticenze o tentennamenti. Quando si recò in visita al Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, il 10 giugno 1969, si presentò con queste parole: «Il Nostro nome è Pietro».

Vorrei commemorarlo oggi ripubblicando quello che fu forse il suo ultimo discorso pubblico, l’omelia pronunciata durante la Messa dei Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno 1978, in occasione del XV anniversario della sua incoronazione: una specie di bilancio del suo pontificato. Interessanti i due punti in cui si articola il discorso: "Tutela della fede" e "Difesa della vita umana", le due colonne di quel pontificato e una specie di binario per la Chiesa degli anni avvenire
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Venerati Fratelli e Figli carissimi,

Le immagini dei Santi Apostoli Pietro e Paolo occupano, oggi piú che mai, il nostro spirito durante la celebrazione di questo rito. Non solo perché ci sono riportate, come di consueto, dal volgere dell’anno liturgico, ma anche per il particolare significato che riveste per noi questo XV anniversario della nostra elezione al Sommo Pontificato, quando, dopo il compimento dell’80° genetliaco, il corso naturale della nostra vita volge al tramonto.

Pietro e Paolo: «le grandi e giuste colonne» (S. Clemente Romano, I, 5, 2) della Chiesa romana e della Chiesa universale! I testi della Liturgia della parola, or ora ascoltati, ce li presentano sotto un aspetto che suscita in noi profonda impressione: ecco Pietro, che rinnova nei secoli la grande confessione di Cesarea di Filippo; ecco Paolo, che dalla cattività romana lascia a Timoteo il testamento piú alto della sua missione. Guardando a loro, noi gettiamo uno sguardo complessivo su quello che è stato il periodo durante il quale il Signore ci ha affidato la sua Chiesa; e, benché ci consideriamo l’ultimo e indegno successore di Pietro, ci sentiamo a questa soglia estrema confortati e sorretti dalla coscienza di aver instancabilmente ripetuto davanti alla Chiesa e al mondo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16:16); anche noi, come Paolo, sentiamo di poter dire: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4:7).

I. TUTELA DELLA FEDE

Il nostro ufficio è quello stesso di Pietro, al quale Cristo ha affidato il mandato di confermare i fratelli (cf Lc 22:32): è l’ufficio di servire la verità della fede, e questa verità offrire a quanti la cercano, secondo una stupenda espressione di San Pier Crisologo: «Beatus Petrus, qui in propria sede et vivit et praesidet, praestat quaerentibus fidei veritatem» (Ep. ad Eutichen, inter Ep. S. Leonis Magni XXV, 2: PL 54, 743-744). Infatti la fede è «piú preziosa dell’oro», dice San Pietro; non basta riceverla, ma bisogna conservarla anche in mezzo alle difficoltà («per ignem probatur», 1 Pt 1:7). Della fede gli Apostoli sono stati predicatori anche nella persecuzione, sigillando la loro testimonianza con la morte, a imitazione del loro Maestro e Signore che, secondo la bella formula di San Paolo «testimonium reddidit sub Pontio Pilato bonam confessionem» (1 Tm 6:13). Ora, la fede non è il risultato dell’umana speculazione (cf 2 Pt 1:16), ma il «deposito» ricevuto dagli Apostoli, i quali lo hanno accolto da Cristo che essi hanno «visto, contemplato e ascoltato» (1 Gv 1:1-3). Questa è la fede della Chiesa, la fede apostolica. L’insegnamento ricevuto da Cristo si mantiene intatto nella Chiesa per la presenza in essa dello Spirito Santo e per la speciale missione affidata a Pietro, per il quale Cristo ha pregato: «Ego rogavi pro te ut non deficiat fides tua» (Lc 22:32) e al Collegio degli Apostoli in comunione con lui: «qui vos audit me audit» (Lc 10:16). La funzione di Pietro si perpetua nei suoi successori, tanto che i Vescovi del Concilio di Calcedonia poterono dire dopo aver ascoltato la lettera loro mandata da Papa Leone: «Pietro ha parlato per bocca di Leone» (cf H. Grisar, Roma alla fine del tempo antico, I, 359). E il nucleo di questa fede è Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, confessato cosí da Pietro: «Tu es Christus, Filius Dei vivi» (Mt 16:16).

Ecco, Fratelli e Figli, l’intento instancabile, vigile, assillante che ci ha mossi in questi quindici anni di pontificato. «Fidem servavi»! possiamo dire oggi, con la umile e ferma coscienza di non aver mai tradito «il santo vero» (A. Manzoni). Ci sia consentito ricordare, a conferma di questa convinzione, e a conforto del nostro spirito che continuamente si prepara all’incontro col giusto Giudice (2 Tm 4:8), alcuni documenti salienti del pontificato, che hanno voluto segnare le tappe di questo nostro sofferto ministero di amore e di servizio alla fede e alla disciplina: tra le encicliche e le esortazioni pontificie, la Ecclesiam suam (9 agosto 1964: AAS 56/1964, 609-659), che, all’alba del pontificato, tracciava le linee di azione della Chiesa in se stessa e nel suo dialogo col mondo dei fratelli cristiani separati, dei non-cristiani, dei non-credenti; la Mysterium fidei sulla dottrina eucaristica (3 settembre 1965: AAS 57/1965, 753-774); la Sacerdotalis caelibatus (24 giugno 1967: AAS 59/1967, 657-697) sul dono totale di sé che distingue il carisma e l’ufficio presbiterale; la Evangelica testificatio (29 giugno 1971: AAS 63/1971, 497-526) sulla testimonianza che oggi la vita religiosa, in perfetta sequela di Cristo, è chiamata a dare davanti al mondo; la Paterna cum benevolentia (8 dicembre 1974: AAS 67/1975, 5-23), alla vigilia dell’Anno Santo, sulla riconciliazione all’interno della Chiesa; la Gaudete in Domino (9 maggio 1975: AAS 67/1975, 289-322) sulla ricchezza zampillante e trasformatrice della gioia cristiana; e, infine, la Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975: AAS 68/1976, 5-76), che ha voluto tracciare il panorama esaltante e molteplice dell’azione evangelizzatrice della Chiesa, oggi.

Ma soprattutto non vogliamo dimenticare quella nostra «Professione di fede» che, proprio dieci anni fa, il 30 giugno del 1968, noi solennemente pronunciammo in nome e a impegno di tutta la Chiesa come Credo del Popolo di Dio (AAS 60/1968, 436-445), per ricordare, per riaffermare, per ribadire i punti capitali della fede della Chiesa stessa, proclamata dai piú importanti Concili Ecumenici, in un momento in cui facili sperimentalismi dottrinali sembravano scuotere la certezza di tanti sacerdoti e fedeli, e richiedevano un ritorno alle sorgenti. Grazie al Signore, molti pericoli si sono attenuati; ma davanti alle difficoltà che ancor oggi la Chiesa deve affrontare sul piano sia dottrinale che disciplinare, noi ci richiamiamo ancora energicamente a quella sommaria professione di fede, che consideriamo un atto importante del nostro magistero pontificale, perché solo nella fedeltà all’insegnamento di Cristo e della Chiesa, trasmessoci dai Padri, possiamo avere quella forza di conquista e quella luce di intelligenza e d’anima che proviene dal possesso maturo e consapevole della divina verità. E vogliamo altresí rivolgere un appello, accorato ma fermo, a quanti impegnano se stessi e trascinano gli altri, con la parola, con gli scritti, con il comportamento, sulle vie delle opinioni personali e poi su quelle dell’eresia e dello scisma, disorientando le coscienze dei singoli, e la comunità intera, la quale dev’essere anzitutto koinonia nell’adesione alla verità della Parola di Dio, per verificare e garantire la koinonia nell’unico Pane e nell’unico Calice. Li avvertiamo paternamente: si guardino dal turbare ulteriormente la Chiesa; è giunto il momento della verità, e occorre che ciascuno conosca le proprie responsabilità di fronte a decisioni che debbono salvaguardare la fede, tesoro comune che il Cristo, il quale è Petra, è Roccia, ha affidato a Pietro, Vicarius Petrae, Vicario della Roccia, come lo chiama San Bonaventura (Quaest. disp. de perf. evang., q. 4, a. 3; ed. Quaracchi, V, 1891, p. 195).

II. DIFESA DELLA VITA UMANA

In questo impegno offerto e sofferto di magistero a servizio e a difesa della verità, noi consideriamo imprescindibile la difesa della vita umana. Il Concilio Vaticano secondo ha ricordato con parole gravissime che «Dio padrone della Vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggere la vita»! (Gaudium et spes, 51) E noi, che riteniamo nostra precisa consegna l’assoluta fedeltà agli insegnamenti del Concilio medesimo, abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può esser minacciata, turbata o addirittura soppressa.

Rammentiamo anche qui i punti piú significativi che attestano questo nostro intento.

a) Abbiamo anzitutto sottolineato il dovere di favorire la promozione tecnico-materiale dei popoli in via di sviluppo, con la enciclica Populorum progressio (26 marzo 1967: AAS 59/1967, 257-299).

b) Ma la difesa della vita deve cominciare dalle sorgenti stesse della umana esistenza. È stato questo un grave e chiaro insegnamento del Concilio, il quale, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, ammoniva che «la vita, una volta concepita, dev’essere protetta con la massima cura; e l’aborto come l’infanticidio sono abominevoli delitti» (n. 51). Non abbiamo fatto altro che raccogliere questa consegna, quando, dieci anni fa, promanammo l’Enciclica Humanae vitae (25 luglio 1968: AAS 60/1968, 481-503): ispirato all’intangibile insegnamento biblico ed evangelico, che convalida le norme della legge naturale e i dettami insopprimibili della coscienza sul rispetto della vita, la cui trasmissione è affidata alla paternità e alla maternità responsabili, quel documento è diventato oggi di nuova e piú urgente attualità per i vulnera inferti da pubbliche legislazioni alla santità indissolubile del vincolo matrimoniale e alla intangibilità della vita umana fin dal seno materno.

c) Di qui le ripetute affermazioni della dottrina della Chiesa cattolica sulla dolorosa realtà e sui penosissimi effetti del divorzio e dell’aborto, contenute nel nostro magistero ordinario come in particolari atti della competente Congregazione. Noi le abbiamo espresse, mossi unicamente dalla suprema responsabilità di maestro e di pastore universale, e per il bene del genere umano!

d) Ma siamo stati indotti altresí dall’amore alla gioventú che sale, fidente in un piú sereno avvenire, gioiosamente protesa verso la propria auto-realizzazione, ma non di rado delusa e scoraggiata dalla mancanza di un’adeguata risposta da parte della società degli adulti. La gioventú è la prima a soffrire degli sconvolgimenti della famiglia e della vita morale. Essa è il patrimonio piú ricco da difendere e avvalorare. Perciò noi guardiamo ai giovani: sono essi il domani della comunità civile, il domani della Chiesa.

Venerati Fratelli e Figli carissimi!

Vi abbiamo aperto il nostro cuore, in un panorama sia pur rapido dei punti salienti del nostro Magistero pontificale in ordine alla vita umana, perché un grido profondo salga dai nostri cuori verso il Redentore; davanti ai pericoli che abbiamo delineato, come di fronte a dolorose defezioni di carattere ecclesiale o sociale, noi, come Pietro, ci sentiamo spinti ad andare a Lui, come a unica salvezza, e a gridargli: «Domine, ad quem ibimus? verba vitae aeternae habes» (Gv 6:68). Solo Lui è la verità, solo Lui è la nostra forza, solo Lui la nostra salvezza. Da lui confortati, proseguiremo insieme il nostro cammino.

Ma oggi, in questo anniversario, noi vi chiediamo anche di ringraziarlo con noi, per l’aiuto onnipotente con cui ci ha finora fortificati, sicché possiamo dire, come Pietro, «nunc scio vere quia misit Deus angelum suum» (At 12:11). Sí, il Signore ci ha assistiti: noi lo ringraziamo e lodiamo; e chiediamo a voi di lodarlo con noi e per noi, per l’intercessione dei Patroni di questa «Roma nobilis» e di tutta la Chiesa, su di essi fondata.

O Santi Pietro e Paolo, che avete portato nel mondo il nome di Cristo, e a Lui avete dato l’estrema testimonianza dell’amore e del sangue, proteggete ancora e sempre questa Chiesa, per la quale avete vissuto e sofferto; conservatela nella verità e nella pace; accrescete in tutti i suoi figli la fedeltà inconcussa alla Parola di Dio, la santità della vita eucaristica e sacramentale, l’unità serena nella fede, la concordia nella carità vicendevole, la costruttiva obbedienza ai Pastori; che essa, la santa Chiesa, continui a essere nel mondo il segno vivo, gioioso e operante del disegno redentivo di Dio e della sua alleanza con gli uomini. Cosí essa vi prega con la trepida voce dell’umile attuale Vicario di Cristo, che a voi, o Santi Pietro e Paolo, ha guardato come a modelli e ispiratori; e cosí custoditela, questa Chiesa benedetta, con la vostra intercessione, ora e sempre, fino all’incontro definitivo e beatificante col Signore che viene.

Amen, amen.