Lycopodium mi ha segnalato una sua lettera, inviata lo scorso anno al blog Labre, a proposito dell’altare versus populum. La trovo assai interessante, soprattutto per quanto riguarda i correttivi che vi vengono proposti:
«È forse venuto il momento propizio di necessari radicali correttivi (nella mentalità e nelle realizzazioni), che la tradizione — non tanto e non solo “tridentina” — conosce bene: tanto per iniziare, l’intima connessione con il Crocifisso (iconostasi latina, la definiva Ratzinger teologo), il rilancio del presbiterio e delle soglie di accesso… e, infine, il ritrovamento del ciborio/baldacchino e del suo simbolismo (l’effusione dello Spirito).
La presenza del ciborio/baldacchino consentirebbe di integrare le diverse visioni celebrative (anche di chi vorrebbe che, durante il canone, tutti pregassero con lo sguardo “rivolto verso l’alto”): dal ciborio il CROCIFISSO dovrebbe “discendere”, così sarebbe sospeso sopra l’altare, ma non direttamente a contatto, a modo di suppellettile».
Nel suo messaggio poi Lycopodium mi informa della posizione del liturgista-architetto Crispino Valenziano, il quale, nel suo volume Architetti di chiese, sarebbe fautore di “una innovativa articolazione dei poli celebrativi, incentrata su una distinzione tra luogo del sacrificio (santuario) e luogo della parola e della presidenza (aula)”.
Mi sembrano proposte di tutto rispetto, degne della massima attenzione, che non si riducono a un semplice “cancelliamo-tutto-ciò-che-è-avvenuto-dopo-il-Concilio-e-torniamo-a-celebrare-come-si-faceva-una-volta”, ma un tentativo di correggere gli innegabili errori e abusi che sono stati commessi in questi anni, e allo stesso tempo proseguire il cammino ricollegandosi a una tradizione piú antica di quella immediatamente precedente al Concilio.
I correttivi proposti, a me che sono romano, non appaiono affatto delle novità, ma semplicemente come la riscoperta di ciò che è comune nella basiliche romane. Per favore, non si lanci subito l’accusa di “archeologismo”, perché tali basiliche non sono dei ruderi, né dei musei, ma delle chiese pienamente funzionanti, nelle quali è sempre stata celebrata e si continua a celebrare la liturgia, e costituiscono una preziosa testimonianza della tradizione romana (visto che si sta parlando di rito romano, non trovo nulla di strano che esso possa recuperare elementi che gli sono propri).
Ho avuto sempre l’impressione che molte obiezioni mosse alla riforma liturgica (e alla disposizione delle chiese che ne è conseguita) provenga dal fatto che si ha in mente solo il modello della chiesa barocca, la quale naturalmente riflette il momento storico in cui essa è stata edificata (la Controriforma cattolica) con il suo rito liturgico (il Messale di San Pio V). Ma non si può ridurre la tradizione cattolica agli ultimi cinque secoli.
Ebbene, se guardiamo alle basiliche romane, ci accorgeremo che la riforma liturgica si è ispirata ampiamente a esse. Per esempio, non ho mai capito le obiezioni contro l’altare versus populum, quando nelle basiliche romane è sempre stato cosí (non si dica che vi si poteva celebrare da entrambe i lati, perché in certi casi ciò è semplicemente impossibile: vedasi San Paolo fuori le Mura o Santa Maria in Trastevere). Non ho mai capito le obiezioni contro la centralità della sede presidenziale, quando questa, nelle basiliche romane, è posta sempre in fondo all’abside (semmai si potrebbe discutere sull'uso invalso di porre la sede davanti all'altare...). Non ho mai capito le obiezioni contro lo spostamento della custodia eucaristica dall’altare maggiore a una cappella laterale, quando questa è sempre stata la norma nelle basiliche romane (si badi bene che anche le basiliche maggiori, che furono riedificate o rimaneggiate in epoca, diciamo cosí, “tridentina”, conservarono sempre l’antica struttura).
Per cui le proposte di Lycopodium e di Mons. Valenziano mi trovano molto favorevole (anche se naturalmente si può discutere sui particolari). Interessante l’idea di distinguere il luogo del sacrificio da quello della parola (si pensi, per esempio, a Santa Sabina o a Santa Maria in Cosmedin). Interessante pure la proposta di recuperare il baldacchino con la croce che scende dall’alto. Se avete letto l’articolo di Padre Falsini su Vita Pastorale dell’ottobre 2006, vi si faceva riferimento a una simile proposta emersa durante il convegno di Bose del giugno 2006. Padre Falsini commentava: “È un suggerimento conciliante e conclusivo del citato convegno di Bose, che merita rispetto ma non convince”. E invece mi pare che si tratti di una proposta da prendere in seria considerazione. Io stesso, come ho detto in altra occasione (post dell'11 marzo 2009), sono contrario alla croce-suppellettile, ma sono ben favorevole alla croce sospesa sull’altare, che potrebbe realmente costituire, insieme con l’altare, il punto di attrazione dello sguardo di tutti i presenti.
«È forse venuto il momento propizio di necessari radicali correttivi (nella mentalità e nelle realizzazioni), che la tradizione — non tanto e non solo “tridentina” — conosce bene: tanto per iniziare, l’intima connessione con il Crocifisso (iconostasi latina, la definiva Ratzinger teologo), il rilancio del presbiterio e delle soglie di accesso… e, infine, il ritrovamento del ciborio/baldacchino e del suo simbolismo (l’effusione dello Spirito).
La presenza del ciborio/baldacchino consentirebbe di integrare le diverse visioni celebrative (anche di chi vorrebbe che, durante il canone, tutti pregassero con lo sguardo “rivolto verso l’alto”): dal ciborio il CROCIFISSO dovrebbe “discendere”, così sarebbe sospeso sopra l’altare, ma non direttamente a contatto, a modo di suppellettile».
Nel suo messaggio poi Lycopodium mi informa della posizione del liturgista-architetto Crispino Valenziano, il quale, nel suo volume Architetti di chiese, sarebbe fautore di “una innovativa articolazione dei poli celebrativi, incentrata su una distinzione tra luogo del sacrificio (santuario) e luogo della parola e della presidenza (aula)”.
Mi sembrano proposte di tutto rispetto, degne della massima attenzione, che non si riducono a un semplice “cancelliamo-tutto-ciò-che-è-avvenuto-dopo-il-Concilio-e-torniamo-a-celebrare-come-si-faceva-una-volta”, ma un tentativo di correggere gli innegabili errori e abusi che sono stati commessi in questi anni, e allo stesso tempo proseguire il cammino ricollegandosi a una tradizione piú antica di quella immediatamente precedente al Concilio.
I correttivi proposti, a me che sono romano, non appaiono affatto delle novità, ma semplicemente come la riscoperta di ciò che è comune nella basiliche romane. Per favore, non si lanci subito l’accusa di “archeologismo”, perché tali basiliche non sono dei ruderi, né dei musei, ma delle chiese pienamente funzionanti, nelle quali è sempre stata celebrata e si continua a celebrare la liturgia, e costituiscono una preziosa testimonianza della tradizione romana (visto che si sta parlando di rito romano, non trovo nulla di strano che esso possa recuperare elementi che gli sono propri).
Ho avuto sempre l’impressione che molte obiezioni mosse alla riforma liturgica (e alla disposizione delle chiese che ne è conseguita) provenga dal fatto che si ha in mente solo il modello della chiesa barocca, la quale naturalmente riflette il momento storico in cui essa è stata edificata (la Controriforma cattolica) con il suo rito liturgico (il Messale di San Pio V). Ma non si può ridurre la tradizione cattolica agli ultimi cinque secoli.
Ebbene, se guardiamo alle basiliche romane, ci accorgeremo che la riforma liturgica si è ispirata ampiamente a esse. Per esempio, non ho mai capito le obiezioni contro l’altare versus populum, quando nelle basiliche romane è sempre stato cosí (non si dica che vi si poteva celebrare da entrambe i lati, perché in certi casi ciò è semplicemente impossibile: vedasi San Paolo fuori le Mura o Santa Maria in Trastevere). Non ho mai capito le obiezioni contro la centralità della sede presidenziale, quando questa, nelle basiliche romane, è posta sempre in fondo all’abside (semmai si potrebbe discutere sull'uso invalso di porre la sede davanti all'altare...). Non ho mai capito le obiezioni contro lo spostamento della custodia eucaristica dall’altare maggiore a una cappella laterale, quando questa è sempre stata la norma nelle basiliche romane (si badi bene che anche le basiliche maggiori, che furono riedificate o rimaneggiate in epoca, diciamo cosí, “tridentina”, conservarono sempre l’antica struttura).
Per cui le proposte di Lycopodium e di Mons. Valenziano mi trovano molto favorevole (anche se naturalmente si può discutere sui particolari). Interessante l’idea di distinguere il luogo del sacrificio da quello della parola (si pensi, per esempio, a Santa Sabina o a Santa Maria in Cosmedin). Interessante pure la proposta di recuperare il baldacchino con la croce che scende dall’alto. Se avete letto l’articolo di Padre Falsini su Vita Pastorale dell’ottobre 2006, vi si faceva riferimento a una simile proposta emersa durante il convegno di Bose del giugno 2006. Padre Falsini commentava: “È un suggerimento conciliante e conclusivo del citato convegno di Bose, che merita rispetto ma non convince”. E invece mi pare che si tratti di una proposta da prendere in seria considerazione. Io stesso, come ho detto in altra occasione (post dell'11 marzo 2009), sono contrario alla croce-suppellettile, ma sono ben favorevole alla croce sospesa sull’altare, che potrebbe realmente costituire, insieme con l’altare, il punto di attrazione dello sguardo di tutti i presenti.